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CNR Comunicato 23 novembre 2022 Piano di Rilancio e Riorganizzazione del CNR: come uccidere la ricerca!!

 

 

Il 21 novembre il personale tutto del CNR ha ricevuto copia del Piano di Rilancio e Riorganizzazione del CNR accompagnato da una nota della presidente Carrozza che comunica che il Piano “è stato formalmente approvato, avendo concluso – con la registrazione alla Corte dei Conti – l’iter autorizzativo previsto”.

Il documento è molto corposo, oltre 90 pagine, e richiede un po’ di tempo per un’attenta e completa disanima delle azioni ivi previste per “rafforzare e proiettare a livello internazionale la leadership scientifica del CNR e la sua capacità di portare avanti progetti di ricerca mirati al progresso scientifico e tecnologico”.

Ma ci è bastato arrivare alla pag. 21 del Piano e, poco più giù, alla pag. 26, ed in particolare al paragrafo 1.6 “Sostegno alla ricerca libera curiosity-driven, progressioni di carriera e chiamata diretta”, per comprendere come fosse indispensabile iniziare sin da subito a commentare il Piano, riservandoci ulteriori commenti e considerazioni a lettura ultimata.

Infatti, già a pag. 21 si comprende che, ancora una volta, il CNR punti al “saccheggio” dei residui dei progetti di ricerca. Si legge, infatti, che le URGO, le “Unità di Ricerca Goal-Oriented”, una tra le principali novità del Piano, potranno utilizzare “… in parte i fondi liberi residui dai progetti competitivi …”. Inquieta l’uso del termine “liberi” al posto di un più corretto “sottratti”, in quanto i fondi che si intende assegnare alle URGO sono in realtà sottratti a chi ha concepito e portato a termine progetti competitivi. Quindi le URGO, invece di essere attrattori di nuovi finanziamenti, finirebbero per cannibalizzare le uniche economie disponibili per la rete scientifica.

Quanto poi previsto al paragrafo 1.6, ossia l’utilizzo delle risorse residue di progetti di ricerca e attività conto terzi per finanziare la ricerca libera curiosity-driven, rischia, a nostro avviso, di uccidere la ricerca condotta negli Istituti del CNR.

È previsto infatti che, al fine di sostenere la ricerca libera curiosity-driven, “gli Istituti potranno proporre l’avvio di progetti di durata triennale, eventualmente prorogabile per successivi due anni (al più), con la possibilità di utilizzare con la massima flessibilità – entro i limiti posti dalle norme primarie – gli strumenti delle diverse tipologie di contratti/borse di ricerca e di rimodulazione di budget sempre a valere su residui accertati di risorse da progetti competitivi, ricerca conto terzi e servizi tecnico scientifici nei confronti di società e organizzazioni pubbliche e private. I progetti dovranno essere approvati da referee esterni e valutati al termine sempre da referee esterni”.

In altre parole, per utilizzare risorse residue bisognerà ottenere l’approvazione di referee esterni che decideranno se la “curiosità” che spinge un Ricercatore ad occuparsi di un nuovo filone di ricerca è giustificabile o no. Col timore che saranno approvati solo progetti che seguono le mode, e non quelli che i singoli Ricercatori, con l’autonomia che leggi e contratti riconoscono loro, individuano come forieri di possibili utili risultati e scoperte.

Più che un sostegno alla ricerca curiosity-driven l’iter previsto ci appare come un ulteriore ostacolo all’utilizzo pieno delle risorse ottenute dai ricercatori dell’Ente, con impegno e sacrifici, attraverso progetti competitivi.

Ma, cosa ancor più grave, il Piano prevede che “lo strumento del progetto di durata massima quinquennale, proroghe incluse, sarà l’unica modalità possibile, oltre ai progetti finanziati, per gestire autonomamente da parte degli Istituti risorse economiche e finanziarie”.

In altre parole, non sarà più possibile utilizzare i fondi residui per aggiornare i laboratori acquistando nuove apparecchiature e nuovi strumenti, per riparare le apparecchiature rotte, per affrontare le spese iniziali di un progetto approvato nelle more che arrivi la prima quota di finanziamento, per partecipare a riunione preparative per la presentazione di nuovi progetti di ricerca a bandi competitivi, per partecipare a convegni ove presentare nuovi risultati, per seguire seminari di formazione scientifica, …. Spese indispensabili da affrontare per rimanere competitivi sul mercato della ricerca e che, in mancanza di fondi ordinari destinati a questo scopo, possono essere affrontate solo utilizzando le risorse residue di progetti competitivi e di attività conto terzi, come da noi già troppe volte sottolineato (si veda ad esempio la lettera del 3 ottobre scorso).

La ricerca curiosity-driven va senz’altro favorita e finanziata ma, come già argomentato nella nostra lettera del 21 giugno, con risorse derivanti dal Finanziamento ordinario e non dai residui dei progetti di ricerca.

Ma il Paragrafo 1.6 non si limita a questo. Poco più giù, leggiamo infatti che “il Piano di Rilancio prevede un budget annuo complessivo pari a 1,5 milioni di euro da mettere a disposizione dei nuovi ricercatori per chiamata diretta, secondo modalità e programma di servizi da definire in fase di attuazione, allo scopo di rappresentare sia un acceleratore di produttività sia un elemento di attrattività per i migliori ricercatori”. Con questi soldi l’Ente stima di poter coprire sia le retribuzioni di circa 50 nuovi ricercatori che il “budget a disposizione per le spese proprie dell’attività di ricerca”. Conti alla mano, l’Ente intende mettere a disposizione di ciascuno dei circa 50 nuovi ricercatori, da assumere con chiamata diretta, circa 30.000 euro l’anno!!

Ciò rappresenta un’inaccettabile discriminazione nei confronti non solo degli attuali Ricercatori dell’Ente, ma anche e soprattutto di quei nuovi Ricercatori che avranno la colpa di essere assunti con concorso pubblico. Una discriminazione che penalizzerà, senza alcuna giustificazione, la loro attività di ricerca e le loro possibilità di carriera, a vantaggio di pochi colleghi assunti, per di più, per chiamata diretta.

Cosa giusta, e vantaggiosa anche per l’Ente, sarebbe invece assegnare a tutti i ricercatori e tecnologi impegnati nella ricerca una dotazione individuale, come da noi già richiesto con la lettera del 2 maggio scorso, per aggiornare i software utilizzati, incrementare le proprie competenze, acquistare libri, un nuovo PC o materiale di consumo essenziale, pagare l’open access per la pubblicazione su prestigiose riviste, partecipare a convegni, incontri di lavoro (anche preparatori alla presentazione di progetti a bandi competitivi), ecc.

La FGU-DR-ANPRI si adopererà ovviamente in tutte le sedi possibili affinché le suddette azioni siano profondamente modificate a effettivo vantaggio dell’Ente e del suo personale di ricerca.

Rimane, ovviamente, la constatazione che tutte le discrasie che si continuano ad evidenziare dimostrano l’inefficacia di un’organizzazione verticistica per il governo di un Ente di Ricerca. Solo il completo riconoscimento di autogoverno ai R&T consentirà la definizione di un sistema di regole (Regolamenti) in grado di rendere effettivamente efficace il lavoro di ricerca, nell’interesse del Sistema Paese.

 

Gianpaolo Pulcini

Responsabile Nazionale FGU-DR-ANPRI CNR

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